Cronaca

Assolto il giornalista querelato da Alice Salvatore per aver accostato esponenti del M5S al “clan Mafodda” di Taggia

Assolto il giornalista querelato da Alice Salvatore per aver accostato esponenti del M5S al “clan Mafodda” di Taggia

Genova. E’ stato assolto in primo grado dal reato di diffamazione perché il fatto non sussiste il giornalista e scrittore Antonio Amorosi, che nell’ambito delle elezioni regionali del 2015 aveva accostato il M5S, ed in particolare il candidato Daniele Comandini, alla criminalità di stampo ‘ndranghetista e per questo motivo era stato denunciato da Alice Salvatore, all’epoca dei fatti candidata governatrice della Regione Liguria per il M5S.
Nell’assolvere l’imputato, il giudice del tribunale di Genova, dottoressa Clara Guerello, ha tenuto conto del fatto che la stessa Salvatore aveva “riferito dell’amicizia tra Comandini e Mafodda (figlio del boss Palmiro e residente ad Arma di Taggia, n.d.r.) peraltro più volte ritratti insieme in pubbliche occasioni durante la campagna elettorale”, si legge nel testo della sentenza. E ancora, sempre riferito alla Salvatore, “avendo la stessa ammesso di essere a conoscenza dell’appartenenza del padre del Mafodda (Palmiro Mafodda) alla criminalità organizzata ndranghetista e che, per tale motivo, egli era stato coinvolto nell’inchiesta Maglio 3”.

A difesa di Antonio Amorosi, che nel proprio sito internet aveva pubblicato un articolo dal titolo “Lite M5S: il capolista è vicino ai boss” nel quale accostava alcuni esponenti del Movimento 5 Stelle alla malavita organizzata, era stato ascoltato anche Christian Abbondanza, responsabile della “casa della legalità” che all’epoca dei fatti si occupava di monitorare tutti i candidati alle elezioni e che per questo era stato contattato dal giornalista che gli aveva chiesto tutta la documentazione relativa alla famiglia Mafodda.

“Esaminando quindi il contenuto dell’articolo incriminato alla luce degli enunciati principi di diritto, ritiene il Tribunale che nella fattispecie siano stati rispettati i limiti della verità, della pertinenza e della continenza”, conclude il giudice di primo grado, “In definitiva si deve ritenere che le espressioni polemiche e suggestive utilizzate dall’imputato – per di più rivolte in prima persona al Comandini e solo indirettamente alla Salvatore – rientrino nell’ambito del legittimo esercizio del diritto di critica (politica) e di libera manifestazione del pensiero, non potendosi quindi ritenere lesive della dignità morale e personale della costituita parte civile”.

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