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La filosofia del mercato

La filosofia del mercato

“Il mercato è un luogo appartato dove gli uomini possono ingannarsi l’un l’altro.” Come dare torto al grande filosofo greco Diogene il Cinico? Diogene di Sinope, detto il Cinico o il Socrate pazzo, questo grazie al giudizio di Platone, fu discepolo di Antistene e, con il maestro, è considerato il fondatore della scuola Cinica (espressione che ben poco ha a che vedere con il senso che attualmente le viene attribuito). È generalmente noto per il suo comportamento fuori dal convenzionale, ( da pazzo? ), come abitare in una botte o gironzolare con una lanterna in pieno giorno alla ricerca dell’uomo. Non si può dire fosse molto diplomatico, il suo disprezzo per la cultura piccolo borghese, che già da allora imperava, è riconoscibile in alcune sue uscite provocatorie. Una delle più caustiche è sicuramente la domanda che rivolse all’amico che lo accompagnava quando un suo discorso venne applaudito con grande partecipazione dalla folla, infatti chiese: “Ho detto qualcosa di tanto stupido?” Non amava la folla, la reputava “la madre dei tiranni” e questo ci riporta all’apertura di questo articolo. Non mi interessa, ovviamente, sviluppare una disamina del pensiero di Diogene, se anche molto potrebbe tornare utile una riflessione intorno alla sua attualissima filosofia, ma analizzare il concetto di “mercato” da “un altro punto di vista”.

Certo, il mercato è il luogo dove avvengono le compravendite, intorno a quali livelli e con quali differenti conseguenze non è il momento di disquisire, per ora ci interessa rappresentarne l’aspetto più macroscopico: il contemporaneo gridare di tutti i partecipanti all’azione con l’intento di farsi ascoltare da persone altrettanto impegnate a vendere senza alcun interesse per le affermazioni degli altri partecipanti se non per riuscire a superarne l’offerta. Intanto sarà opportuno precisare che, come i miei acuti lettori avranno certamente già notato, la medesima definizione è applicabile ai numerosi talk show che invadono le nostre televisioni. In essi nessuno presta davvero ascolto alle posizioni dell’altro se non per metterle alla berlina, è questa una delle tecniche più comuni, evidentemente esiste una scuola che forma i quadri dirigenziali dei vari movimenti e partiti istruendo i propri affiliati su come danneggiare l’antagonista nel corso del dibattito. Una delle strategie più diffuse è quella di parlare sulla voce altrui così che risulti praticamente impossibile comprendere sia la tesi dell’uno che quella dell’altro. Va anche detto che un contributo importante lo offrono i conduttori che, almeno così a me pare, apprezzano la bagarre molto più che la chiara informazione ed il confronto intelligente. Anche in questo frangente può essere illuminante una massima del filosofo: “Discuti sulla virtù e ti passano accanto come un branco di pecore, fischia e danza e agitati e avrai un pubblico.” In effetti i “conduttori” sono generalmente arroganti, egoriferiti, preconcetti e tendenziosi, questo un po’ tutti, vanno poi distinti quelli di sinistra da quelli di destra, ovviamente. I primi si riconoscono per via del fatto che sono assolutamente certi della propria superiorità etica ed intellettuale, gli altri si distinguono per la ricerca di un linguaggio povero, popolare e costruito su solidi luoghi comuni; il risultato è un “assurdo teatro”, che ben poco ha da condividere con il “teatro dell’assurdo”. L’effetto serraglio è garantito, il nulla conquista lo spazio dell’intelligenza e l’audience è l’unità di misura del valore del servizio televisivo.

Una riflessione intorno al gran vociare del mercato è ora opportuna, prima, però, una domanda retorica: vi è mai capitato di trovarvi in una situazione come quelle descritte, nella quale, per le più diverse ragioni, tutti stavano parlando simultanemente e, inevitabilmente, erano indotti al alzare sempre più il volume? Son certo di sì, ma è probabile vi sia occorso anche il caso in cui, ad un certo punto, tutti si fossero accorti di una qualche ragione per zittirsi, tutti tranne uno che, inevitabilmente, si è venuto così a trovare all’improvviso ad essere il solo ad urlare a tutta gola una assoluta banalità o peggio, cosa che nel precedente frastuono non sarebbe parsa fuori luogo ma che, nell’inatteso silenzio, aveva rivelato l’imbecillità della sua affermazione? Affermazione che, avendo portato il soggetto ad urlarla con grande foga, era da presumere rilevante per lo stesso. Bene, è ora evidente come vada intesa la filosofia del mercato: se tutti gridano contemporaneamente è impossibile distinguere chi stia dicendo qualcosa di intelligente da chi esterna la propia imbecillità. Ne consegue che tale filosofia torni ad assoluto vantaggio degli imbecilli che possono, a ben ragione, reputarsi allo stesso livello degli intelligenti. Va da sè che l’intelligente ne risulta tragicamente svilito. A questo punto diviene indispensabile porsi la seguente domanda: ma se tale filosofia è vantaggiosa solo per gli stupidi e assolutamente dannosa per gli intelligenti, quelli che la applicano tanto sapientemente nei cosiddetti dibattiti come dovremmo definirli? Calza bene la definizione di mercati espressa da uno che di tale articolo era un vero esperto:”I mercati sono mossi da spiriti animaleschi e non dalla ragione”. La frase è di John Maynard Keynes, ovvio, la sua prospettiva era tutt’altra da quella utilizzata per il nostro appuntamento, ma si attaglia troppo bene al contesto per non citarla.

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