“La verità era uno specchio che cadendo si ruppe. Ciascuno ne prese un pezzo e vedendo che in esso era riflessa la propria immagine credette di possedere l’intera verità” è una delle più note affermazioni del teologo musulmano Jalal al-Din Rumi vissuto in Asia Minore nel XIII secolo. Ricordo una piacevole conversazione, come sempre, con l’amico Gershom Freeman che pensò bene, la sua provocatoria iconoclastia fondata su una profonda e occultata modestia mi è ben nota, di rivisitare l’immagine di Jalal al-Din Rumi molto liberamente. “Nel racconto del grande teologo manca un elemento determinante, la ragione per cui ad un certo punto lo specchio cadde e si ruppe. La vuoi conoscere? – mi chiese e, senza attendere la mia risposta, proseguì – In principio, quando ancora non era l’uomo, la verità, per sua natura ingannevole, era uno specchio. – intanto sorseggiava un bicchiere di vino rosso – In essa si specchiavano il cielo, la terra, i monti, i mari e gli animali che il tutto abitavano. Ciò che rifletteva, assicurava, era la verità di ciò che era. L’inganno sarebbe stato evidente se ci fosse stato un uomo e rivelarlo, ma questo accadeva, ribadisco, prima della comparsa dell’uomo. Quando finalmente, o purtroppo, il primo uomo prese consapevolezza di sé ed incontrò lo specchio così parlò: “Tu che pretendi di mostrare la verità, sei ingannevole forse anche verso te stesso, non sarà mai che una copia, un riflesso, una rappresentazione possano esser vere”. Lo specchio che da milioni di anni si autoproclamava fonte di verità rimase profondamente turbato dalle parole dell’umano … credo che la verità gli abbia dato molto fastidio – a Gershom non riuscì di nascondere un ambiguo sorriso – Fu per questa ragione che la sua immobilità venne meno, si mosse e cadde, andando in mille pezzi”
Non ci posso fare niente, quando parla o quando scrive Gershom mi regala sempre occasioni di gioia per la mente e per il cuore, ma così mi aveva distrutto una delle frasi che più avevo amato da tanto tempo. Il relativismo, il prospettivismo, il nichilismo positivo che avevo fatto miei avvertivano la necessità di una più profonda rifondazione. Allora mi limitai ad un pensoso silenzio, in questa occasione, invece, mi piace riportare una diversa affermazione di Jalal al-Din Rumi che sicuramente nemmeno Gershom avrebbe chiosato … credo … oppure ci sarebbe riuscito … in ogni caso sono sicuro che l’avrebbe condivisa nella sua liberatoria proposta: “Là fuori, oltre a ciò che è giusto e a ciò che è sbagliato, esiste un campo immenso. Ci incontreremo lì.“ Ecco, spero che questo nostro incontro abbia luogo proprio dove ci ha dato appuntamento il teologo musulmano, come direbbe l’amico Federico “Al di là del bene e del male”, poiché se è già deciso cosa sono l’uno e l’altro che margini di libertà e responsabilità conseguente rimangono all’uomo? E che possibilità offre ad un dialogo il pregiudizio di un dogma che lo stesso non potrebbe comunque scalfire? È anche evidente che uomini incapaci ad un simile passo liberatorio non sarebbero stati in grado di contestare la verità dello specchio, non ne avrebbero svelato l’inganno, non ne avrebbero generato la caduta e nemmeno avrebbero potuto porre il problema della soggettivizzazione del vero.
Pagine splendide ha dedicato Nietzsche alla riflessione sulla verità e la profonda connessione della stessa con le categorie della morale, ricordo il brano 35 in Al di là del bene e del male e la successiva riflessione rivolta a Voltaire in cui si precisa che se il filosofo, io generalizzerei con “ogni uomo” “il ne cherche le vrai que pour faire le bien – scommetto che non troverà nulla”. Nel brano dello Zarathustra intitolato “Della castità” ancor più definitivamente afferma che “Non quando la verità è sporca, ma quando è poco profonda, colui che attende alla conoscenza entra malvolentieri nelle sue acque”. La verità è un premio per chi ha il coraggio di cercarla senza la supponenza né di possederla di già né di avere la certezza di raggiungerla. La verità è un viaggio, un percorso in salita dentro di te e “non troverai mai la verità se non sei disposto ad accettare anche ciò che non ti aspettavi” per dirla con le parole di Eraclito. Ecco perché le persone comuni si accontentano di ciò che appare e addirittura non provano minimamente a non limitarsi a spiare il mondo nel riflesso di uno specchio ma ad osservarlo con i propri occhi, rischiando di sbagliare ma anche regalandosi la possibilità di vivere davvero la propria vita. Nietzsche avvertiva profondamente la propria solitudine, aveva coscienza di essere “postumo”, avvertiva il fastidio di una folla che non voleva guardare, che magari fingeva di comprendere le sue parole ma non ne aveva il cuore. La sua reazione fu la fuga, nella solitudine o nella pazzia, a seconda dei commentatori, inequivocabili, in ogni caso, sono le sue righe in Aurora 491: “Per questo me ne vò nella solitudine, per non bere dalle cisterne di tutti. Tra molti io vivo come molti e non penso secondo il mio io; dopo un po’ di tempo mi succede sempre come se mi si volesse esiliare da me stesso e rubarmi l’anima ed io mi arrabbio con tutti e temo tutti. Il deserto mi è allora necessario per ridiventare buono”. Inevitabilmente la promiscuità con superflui moralisti e spaventati induce ad imitarli, ad assumere l’atteggiamento del gregge, l’uomo che desidera la libertà del proprio pensiero, prerequisito imprescindibile all’accedere ad una qualche verità, non potrà che autocondannarsi a lunghi periodo di solitudine, ma io credo ne valga la pena.