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Sanremo, modello e clone nella Jugoslavia di Tito

Sanremo, modello e clone nella Jugoslavia di Tito

Sanremo. Erano gli anni Sessanta e, scavalcando la “cortina di ferro”, fenomeni e modelli culturali occidentali migravano nella Jugoslavia di Tito influenzando milioni di persone. Una pandemia tutta italiana che si muoveva sulle note dei più grandi successi sanremesi dell’epoca, da “24 mila baci” di Adriano Celentano a “Le mille bolle blu” di Mina.

Come ha messo in luce la storica Francesca Rolandi in “Con ventiquattromila baci – L’influenza della cultura di massa italiana in Jugoslavia (1955-1965)”, per i giovani al di là dell’Adriatico il Festival di Sanremo ha avuto un ruolo di primaria importanza: è stato assunto come riferimento da cui carpire i riflessi di una rivoluzione sociale che passava attraverso la musical nazional popolare, e soprattutto come specchio di aspettative legate a un futuro diverso e oltre confine.

Ad avvicinarsi al Festival di Sanremo dalla Jugoslavia – ha spiegato la Rolandi in un’intervista a “Il Foglio” -, furono singoli individui attraverso apparecchi radio che dalle coste riuscivano a sintonizzarsi sulle frequenze della Rai. Dopo la normalizzazione dei rapporti con Roma, le autorità jugoslave cominciarono a dimostrare crescente interesse per il Festival, il quale ben presto assunse un’enorme popolarità. Del resto Italia e Jugoslavia, nonostante i diversi sistemi politici, erano paesi dalle dinamiche sociali molto simili: negli anni a cavallo tra i Cinquanta e i Sessanta iniziava ad affermarsi la società dei consumi, del divertimento di massa; e il rock italiano a Belgrado piaceva perché già nell’interpretazione che ne veniva fatta nel nostro Paese esso veniva, per così dire, spogliato degli elementi sovversivi che aveva nel mondo anglosassone.

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