Ventimiglia. C’è un silenzio assordante nella chiesa di Sant’Antonio quando, davanti a quella bara chiara che avvolge Milet Tesfamariam, la 16enne morta in una galleria dell’A10, il vescovo monsignor Antonio Suetta sale sul pulpito e inizia a predicare.
Una predica lunga e commovente, la sua, che oltre a portare cristiano conforto ai presenti, non manca di lanciare un j’accuse, sommesso ma pungente, a chi di questa morte è il responsabile: il regime vigente in Eritrea, paese da cui era scappata la giovane Milet, ma soprattutto l’Europa.
“In certe situazioni sembrerebbe molto più opportuno il silenzio e anche per me sarebbe più facile”, ha esordito Suetta all’inizio della sua omelia, “Tuttavia credo di dover prestare la voce a Milet per dire fondamentalmente tre parole. La prima parola che colgo nel suo cuore è “grazie”: una parola di gratitudine che voglio esprimere a questa chiesa, a questa città, a tante persone che tra mille fatiche hanno cercato di dare buona accoglienza a Milet e a tanti altri suoi amici. Persone semplici, persone che alla spicciolata si prestano anche con una piccola goccia di aiuto e con un mare di affetto, e anche persone delle istituzioni che con uno slancio di cuore sanno andare al di là della fredda formula e sanno tendere la mano a chi è nel bisogno”.
“Un’altra parola che sorge spontanea, ora certamente più dal nostro cuore che dal suo, ma che deve aver abitato il cuore di Milet per tantissimo tempo”, ha aggiunto il vescovo, “Questa parola è “perché”. Di fronte al mistero della morte, sempre, in qualunque tempo essa giunga nella nostra vita, affiorano domande angosciose dal nostro cuore, ancora di più queste domande si fanno stringenti quando la morte porta via una persona giovane, quando la porta via in maniera drammatica, e quando, come in questo caso, la porta via sembra quasi a coronare una situazione interminabile di ingiustizia, perché? Qualche perché noi con dolore abbiamo l’idea di rintracciarlo. Giustamente possiamo dire con molta umiltà, senza la pretesa di giudicare nessuno e battendoci noi per primi il petto, che Milet è una vittima”.