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La consapevolezza del somaro

La consapevolezza del somaro

“Non vi è peggior schiavitù di quella che s’ignora” afferma Stephen Richard Lyster Clark, filosofo inglese che riprende, mi sembra abbastanza evidente, uno dei miti più suggestivi del pensiero platonico, quello esposto nel settimo libro della Repubblica: il mito della caverna. Rinvio ad un altro momento una riflessione specifica su quel mito e vorrei occuparmi, in questa sede, del concetto preludiale a quel mito. Nell’introduzione platonica all’analisi della sua stessa allegoria, Socrate si rivolge a Glaucone nell’intento di chiarire la sua idea di paideia, che potremmo tradurre con educazione o, forse ancor più precisamente nello specifico, come filosofia politica. Come spesso accade nei suoi dialoghi, Platone ricorre ad una allegoria, cito testualmente: “Pensa a uomini chiusi in una specie di caverna sotterranea, che abbia l’ingresso aperto alla luce per tutta la lunghezza dell’antro; essi vi stanno fin da bambini incatenati alle gambe e al collo, così da restare immobili e guardare solo in avanti, non potendo ruotare il capo per via della catena.” Mi sembra evidente il nesso fra la citazione di Clark ed il passo platonico, il problema è riuscire a comprendere se siamo schiavi e non ce ne rendiamo conto. Ora, non intendo sviluppare l’analisi in relazione al testo platonico, preferisco attualizzarla riconoscendo la caverna e l’impossibilità di avere “un altro punto di vista” nell’attuale società di mercato che sarebbe ancor più chiarificante ribattezzare società dei consumi.

Non è forse opinione comune che il compito principe di ogni essere umano sia quello di raggiungere un sempre più elevato tenore di vita senza domandarsi quali siano i parametri per definirlo “elevato” se non quelli del “maggiore consumo”? Ma gli uomini d’oggi vivono in un sistema strutturato secondo questa logica e ” vi stanno fin da bambini incatenati” non nelle gambe e al collo ma, ancor più tragicamente, nella testa e nel cuore. Non è consequenziale che essi sappiano giudicare come reale solo un mondo strutturato secondo questi principi? Tutti sono disposti a lottare e sacrificarsi per raggiungere l’obiettivo che il sistema ha posto loro davanti agli occhi, certo, non il medesimo per tutti, ognuno può scegliere cosa rincorrere, ciò che conta è che lo faccia con ferrea determinazione, orgogliosamente, fino a raggiungere la meta e sentirsi un adulto, maturo, saggio e consapevole … e se questa fosse la consapevolezza del somaro che intitola queste righe? Non oso paragonarmi a Platone, so bene che non è bello, che chi si loda s’imbroda e che devono dirlo gli altri chi sei … per ulteriori considerazioni al riguardo rimando allo scorso appuntamento dove si parla della gallina e del chicco di grano, per ora mi limito a ricorrere ad una allegoria come faceva spesso il ben più illustre maestro.

Un mugnaio aveva un asino tanto robusto quanto reticente verso i suoi ordini, gli era indispensabile per far girare la grossa macina del suo mulino. Aveva realizzato una struttura in legno che poteva essere agganciata comodamente alla schiena dell’animale e che, se questo si fosse deciso a camminare, avrebbe perfettamente risposto alle sue esigenze. Il fatto era che il somaro non aveva nessuna intenzione di svolgere un simile lavoro, faticoso e stupido, sempre lì a girare in tondo e solo per soddisfare le esigenze del mugnaio. Qualcuno suggerì allo sconfortato fattore di ricorrere alla violenza, ma le percosse producevano corse intermittenti intervallate da soste ostinate e pericolose pedate verso il padrone, il mugnaio non sapeva proprio che fare. Finalmente gli venne in aiuto un vecchio saggio, qualcuno nel paese sosteneva addirittura fosse un filosofo, che gli suggerì un geniale stratagemma. Seguendo gli illuminati consigli del vecchio, il mugnaio collocò dei paraocchi ai lati del muso del somaro, gli legò un legno dalla criniera a circa cinquanta centimetri davanti al muso, vi appese una corda che aveva legata alla estremità penzolante una succosa carota. Immediatamente il somaro prese a muoversi rincorrendo il gustoso tubero e, molto soddisfatto dalla propria determinazione al conseguimento dell’obiettivo, eccolo che prese a far girare la pesante macina con grande soddisfazione del mugnaio che, riposta la verga che utilizzava per percuoterlo inutilmente, si sedette a godere l’accumularsi progressivo della farina fino a che, giunta la sera, slegò il somaro dal giogo e lo gratificò con la carota.

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