La scelta del destino

La scelta del destino

Pensiero Altro 14 aprile 2021

“Il protagonista è seduto ad un tavolo da gioco, di fronte a lui il suo destino, dall’aspetto decisamente famigliare, che se ne sta lì a fissarlo in silenzio, sembra aspettare qualcosa ma l’uomo pare non avere nessuna idea di che poter fare. Il destino sorride ambiguo, gli mostra i palmi delle mani, sono senza linee, osserva i propri, anch’essi privi di linee. L’uomo è sempre più inquieto, nelle mani del destino ora c’è un mazzo di carte, le apre a ventaglio porgendogliele nel chiaro gesto di chi ti invita a sceglierne una. Il fatto strano è che non sono esibite con il dorso vero l’alto, come succede in questi casi, quindi sia l’uomo che il destino saprebbero quale carta il primo ha scelto. Allora l’uomo chiude gli occhi ed allunga la mano, ma nel momento in cui sta per afferrare la carta senza conoscerla, si accorge che sta stringendo la mano del destino che però è, paradossalmente, la sinistra, quasi fosse la sua immagine riflessa” è un’intensa sequenza che ho estrapolato da un dattiloscritto inviatomi in lettura dall’amico Gershom Freeman e, come sembra, in attesa di una prossima pubblicazione all’interno di un thriller del suo genere, psicologico esoterico. Mi ha colpito per la qualità comunicativa ma ne voglio parlare come radice ad “un pensiero altro” su questioni con le quali prima o poi, ne sono certo, ci siamo misurati tutti.

Uno degli aspetti più interessanti e provocatori dell’allegoria di apertura è offerto dal fatto che il protagonista, posto di fronte alla scelta di una carta che conosce e che risulterebbe nota anche al suo destino, decide di chiudere gli occhi, di offrirsi al caso, insomma, di sollevarsi dalla responsabilità. Sarebbe ancora corretto parlare di destino? Di affidarsi al destino? Di credere nel destino? Più che di fatalismo sarebbe opportuno definire la scelta come abdicazione, mi sembra: voglio dire, se nel mio destino devo contemplare l’essere nato in un certo luogo, in un determinato momento, maschio o femmina, sano o malato, ebbene, è ovvio che non l’ho determinato ma, in questo caso, già il porre la questione nella prospettiva della fede ha poco senso. Posso credere o non credere a qualcosa di non documentato, infatti, ma che senso ha chiedersi se “credo” di essere nato, di essere biondo o castano, di essere allergico al pistacchio oppure no? Una visione diversa ci è offerta dal mito platonico di Er che molto si accosta alla concezione karmica soprattutto all’interno del pensiero induista (altre prospettive karmiche come quella buddista e delle Upanisad si discostano dalle precedenti e andrebbero precisate ma non è indispensabile per il nostro argomentare), in quell’ottica l’intenzione, il karma appunto, rientra nelle possibilità di scelta delle vite precedenti delle quali, però, non conserviamo memoria. L’argomento è complesso e merita una trattazione specifica, per ora torniamo alla definizione di destino come “ciò che è stato deciso che accada e che prescinde dalle nostre possibilità di scelta”. In questa prospettiva va nuovamente operata una distinzione tra ciò che accadrà “per caso” e ciò che, al contrario, soggetto al principio di causa – effetto, sarà in qualche modo conseguente ad una più o meno consapevole scelta personale, direttamente o di riflesso.

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