In incognito

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Pensiero Altro 12 maggio 2021

“La coscienza è come un passeggero clandestino su un transatlantico, che si prende il merito del viaggio senza riconoscere l’importanza dei massicci motori della nave” è una efficace metafora con la quale David Eagleman sintetizza la sua teoria intorno al rapporto mente – cervello che presenta nel saggio eponimo di questo incontro. La tesi di Eagleman può riconoscere prestigiosi antesignani, sempre con i dovuto distinguo; Tommaso d’Aquino, per esempio, affermava già nel XIII secolo che gran parte delle azioni degli uomini “non procedono dalla riflessione della ragione”, forse, implicitamente stava riconoscendo un’area misteriosa che abita gli esseri umani non controllata dalla coscienza razionale, è lecito definirla inconscia? Anche nel testo “Nuovi saggi sull’intelletto umano”, forse non casualmente uscito postumo poiché probabilmente inviso alla prospettiva razionalistica imperante, Wilhelm Leibniz parla di “petites perceptiones” per indicare quelle zone inaccessibili all’indagine razionale che pure non possiamo che riconoscere ben evidenti nella nostra mente. La posizione di Eagleman è radicale quanto definitiva, nel suo lavoro è possibile leggere affermazioni come: “È inquietante rendersi conto che tutte le nostre azioni sono indotte da meccanismi innati, che fanno quello che sanno fare meglio, mentre noi inventiamo storie per giustificare le nostre scelte”, insomma, prima il cervello fa agire il nostro corpo e, successivamente, noi, la mente conscia, costruiamo, più o meno consapevolmente, una sorta di “sovrastruttura giustificativa” per affermare una totale responsabilità ed un assoluto controllo su quanto fatto ma che, in realtà, è stato deliberato “altrove”.

Rimando ad un prossimo appuntamento la riflessione sui “sistemi zombie” e sulla giustificazione evoluzionistica circa l’insorgere della coscienza nell’uomo, tema centrale ed affascinante nel saggio di Eagleman ma che richiederà un’analisi specifica così come la stretta correlazione fra questa prospettiva e il concetto di “gettitudine” heideggeriano, per ora soffermiamoci sull’affermazione dell’autore circa la possibilità, forse non immediata ma ipotizzabile, di veder sostituire il cervello in un corpo umano. Ipotesi che mi riporta alla mente uno scherzo che, nel corso di una lezione di filosofia, consumai davanti ad una classe approfittando della fiducia che i miei studenti nutrivano nel loro insegnante ed anche del fatto che si aspettassero da me stravaganze alle quali li avevo oramai assuefatti. La conversazione verteva sul “Paradosso di Teseo” dal quale presi spunto raccontando loro di essermi prestato per una ricerca scientifico filosofica autorizzando la creazione di un essere umano identico a me, ma del tutto artificiale, nel quale avevo consentito che venissero impiantate tutte le mie conoscenze, esperienze, emozioni e memorie e che, in quell’occasione, volevo presentarlo loro. Il pathos del momento contribuì al successo dell’azione: uscii dalla classe, mi infilai un paio di occhiali sul naso e utilizzai l’altra faccia della giacca double face che indossavo. Rientrai e, con noncuranza, chiesi agli studenti di prestarsi al test in qualità di esaminatori, avrebbero dovuto verificare se il “clone tecnologico” che stavano osservando poteva essere confuso per il loro vero insegnante, una sorta di evoluzione del test di Turing.

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