“Ma Jhwh scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo e pensò: “Costoro vogliono essere un solo popolo con una sola lingua. Questo è l’inizio della loro impresa: ora faranno quanto hanno progettato, pensando di avere potenza divina. Forza, scendiamo a confondere la loro lingua, cosicché l’uno non comprenda più la lingua dell’altro” Genesi 11: 5,6,7. Si tratta inconfondibilmente, della narrazione biblica circa l’origine delle varie lingue dell’uomo. Non ci interessa un approccio esegetico al testo sacro che lasciamo agli esperti del settore, ci basti sottolineare come il racconto mosaico si accosti significativamente a molte altre mitologie più o meno coeve di paesi e popolazioni assolutamente diverse. Un mito quasi perfettamente identico è presente, infatti, anche nella cultura polinesiana e miti simili si trovano nella mitologia messicana e sumera e in quella degli aborigeni del Centro America. E ancora, la narrazione azteca descrive l’arrivo di una colomba che porta in dono una lingua diversa per i figli muti di Coxcox e Xochiquetzal, simili ai nostri Adamo ed Eva; il mito Bantù racconta di una malattia che fece impazzire gli umani che cominciarono a delirare generando le lingue diverse, la versione australiana descrive un approccio antropofagico in cui Wurruri, una vecchia donna, divenne cibo per gli uomini che, nutrendosi di parti diverse e in tempi diversi del suo corpo, generò differenti lingue; il racconto Hindu vede come protagonisti Brahma e l’albero della conoscenza che avrebbe tenuto uniti gli uomini, il dio ne spezzò i rami sparpagliandoli per il mondo così da dare origini a diverse religioni, linguaggi e culture, per gli indiani del Nord America l’intervento divino si manifesta in una tempesta che disperse gli uomini tenendoli separati a lungo fino a che, una volta ricongiunti, avevano elaborato diverse lingue. Non ci occupiamo nemmeno del fatto che si tratti di coincidenze casuali, di un progetto più alto, di una prova a favore della fondatezza o meno di quanto descritto, più interessante, in questa sede, appare una riflessione “altra” sul messaggio omogeneo e più o meno subliminale contenuto nel racconto.
La filologia ha individuato quelli che potremmo definire “fossili linguistici” nel tentativo di documentare scientificamente l’origine delle lingue e li colloca nei più antichi documenti scritti, non penso sia plausibile sperare di poter trovare altro, databili tra 5 e i 4 mila anni fa. È interessante sottolineare che sono stati rinvenuti nella bassa Mesopotamia nel sito della località chiamata Sinar o Sennaar che è citata nel Genesi: “Tutta la terra aveva una sola lingua e parole identiche. Migrando da oriente gli uomini trovarono una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono” ed è in quella località che diedero inizio alla costruzione della famigerata torre suscitando l’ira di Jhwh. La volontà espressa dal “popolo degli uomini che parlano una sola lingua” viene vissuta dal dio degli ebrei come molto simile alla hybris greca (interessante la traduzione del termine in inglese) che meritò la punizione olimpica. Insomma, mi sembra che i dati omogenei a numerose diverse mitologie possano sintetizzarsi nell’esistenza di una lingua e una cultura comune a tutti gli uomini, nel terrore di dio che questo concedesse eccessivo potere agli stessi e nel suo intervento ispirato al principio latino “divide et impera” ed ecco che il linguaggio, capacità peculiare e formidabile dell’essere umano, si trasforma in un pericoloso strumento causa e radice di fragilità, oggetto di ricatto divino e di controllo. Senza scomodare le abissali considerazioni dell’amico Gershom Freeman, “Ecco cos’è la parola, uno strumento formale per consentirci di osservare l’abisso senza vederlo, l’istituzionalizzazione della filosofia dello struzzo: non vedo l’abisso poiché lo rendo superficie e quindi l’abisso non esiste” che da sole richiederebbero ben altro argomentare, limitiamoci al compito che ci siamo prefissati e interroghiamoci sul potere e sulla vulnerabilità che il linguaggio regala all’uomo.