Trilogia del doppio

Trilogia del doppio

pensiero altro 25 generico gennaio 2023

“Si conobbero. Lui conobbe lei e se stesso, perché in verità non s’era mai saputo. E lei conobbe lui e se stessa, perché pur essendosi saputa sempre, mai s’era potuta riconoscere così.” scrive Italo Calvino nel XIX capitolo de “Il Barone rampante” descrivendo il momento in cui Cosimo, dopo anni di vita trascorsi sulle cime degli alberi, rivede Viola e riesce a parlarle, a svelarsi tanto che la ragazza decide di condividere la sua esperienza tanto paradossale. Da quell’incontro nasce l’amore fra i due giovani, la narrazione di Calvino, come spesso nei suoi lavori, presenta una surrealtà priva di pretese realistiche ma profondamente capace alla verità. Ciò che avviene tra Cosimo e Viola è un intimo sapersi reciproco, è un trovarsi, scoprirsi, indagarsi e riconoscersi finalmente completi. Il tema del doppio che è unità è caro a Calvino, lo si incontra in tutta la trilogia de “I nostri antenati”, ma ha radici lontane; come non ricordare il mito dell’androgino di Platone, ma vorrei risalire ancora più indietro comparando due miti, quello di Euridice e Orfeo e quello di aISH e aDaM a prima vista sconosciuto ma ben noto a tutti nella traduzione con Eva e Adamo.

Il mito di Euridice e Orfeo compare già nel IV libro delle Georgiche di Virgilio, siamo fra il 38 e il 29 a.C., viene poi ripreso mezzo secolo dopo da Ovidio nel X libro delle sue Metamorfosi e fra le due versioni si possono notare interessanti differenze che non possono trovare analisi in questo contesto ma che, in ogni caso, non modificano il senso del mito che rimane legato ai ruoli di Orfeo, artista innamorato pronto a intraprendere un viaggio nel regno dei morti per liberare la sua amata, ed Euridice, giovane tragicamente morta e ospite di Ade e Proserpina fino al momento in cui le viene concesso di seguire il compagno nel suo ritorno tra i vivi a patto che questo non si volti mai a verificare se lei lo sta seguendo. Com’è noto Orfeo si volta proprio all’ultimo istante e può solo vederla definitivamente appartenere all’aldilà. Molto interessante la versione di Cesare Pavese nei suoi “Dialoghi con Leucò” che lo scrittore realizza subito dopo la seconda guerra mondiale. La versione pavesiana vede Orfeo che, deliberatamente, si volta poiché la sua ricerca, finalmente lo ha compreso, è rivolta solo a se stesso, a quell’io che è antecedente al suo incontro con il femminile. In realtà le radici del mito affondano in un archè ben più remoto di ogni versione riportata, si fonda sulle figure di Eros e Thanatos e l’antitesi maschile e femminile deve essere letta, a mio modo di vedere, in una diversa prospettiva, la stessa che accennavo in apertura. Orfeo è l’eroe che, per sapersi, deve misurarsi con una sfida, una prova, un rito di passaggio poiché, come Cosimo, “in verità non s’era mai saputo”; Euridice, “pur essendosi sempre saputa”, avvertiva una mancanza per riconoscersi per ciò che profondamente è sempre stata. La dolorosa e appassionata cicatrice che riunifica i due nella superiore unità è un atto di nascita, una sorta di ri-nascita consapevole a un livello più alto, è la narrazione mitologica della comparsa dell’essere umano così simile e così diverso da ogni altro vivente. Euridice è l’essenza, lo spirito, l’anima, il noumeno, è da sempre ma ha bisogno dell’incontro con Orfeo, il corpo, la materia, il divenire, il fenomeno per sapersi davvero, così come accadrà all’eroe che diviene cosciente di sé. Il fallimento di Orfeo è l’inizio di un percorso verso la disperazione e la morte, ha perso l’anima, non gli resta che un corpo destinato alla consunzione ma, al contempo, confina Euridice a un’eternità oscura e muta.

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