Perché studiare le regole?

Perché studiare le regole?

pensiero altro 24 maggio 2023

“Dobbiamo imparare bene le regole in modo da infrangerle nel modo giusto” è un’affermazione attribuita al Dalai Lama che sembra preludere alla teoria estetica di Picasso: “Impara le regole come un professionista, affinché tu possa infrangerle come un artista”. Nel primo aforisma si sostiene che chiunque possa e debba imparare le regole per poterle infrangere, nel secondo si afferma che l’atto stesso, se adeguatamente compiuto, rivelerebbe un artista. A questo proposito ricordo un passaggio del libro autobiografico di Salvador Dalì dal titolo “Il mio libro segreto” nel quale il genio catalano racconta la propria giovanile esperienza all’accademia di Madrid dove i maestri diedero all’aspirante pittore l’indicazione di produrre liberamente, a proprio estro. La reazione di Salvador fu chiarissima: chiese di acquisire le regole, la tecnica che poi avrebbe sconvolto. Per chiudere il cerchio mi sembra illuminante un’affermazione di Vassily Kandinsky: “Un quadro ben dipinto non è quello che ha i valori esatti o una distinzione quasi scientifica tra toni caldi e freddi, ma quello che ha una vera vita interiore. E un buon disegno è quello in cui non si può cambiare nulla senza distruggere questa vita interiore, indipendentemente dal fatto che contraddica le regole dell’anatomia, della botanica o di un’altra scienza”. La prospettiva di Kandinsky ci permette di seguirne le tracce indiziarie lungo “un pensiero altro” che possa suggerire qualche approssimata verità sull’idea di arte e artista poiché, questo a mio modo di vedere, individua il cuore del problema nel ruolo di quello che definisce “vera vita interiore”.

Se questo concetto può essere riconosciuto come la discriminante per definire un’opera d’arte e, di conseguenza, un artista chi l’ha realizzata, può legittimamente essere rovesciata affermando che un artista è chi è dotato di una “vera vita interiore” e sa esprimerla magistralmente nelle sue opere. Ecco meglio collocato il ruolo della tecnica, degli strumenti, della storia, della cultura e… delle regole. Ciò che intendo è che troppo spesso si incontrano sedicenti artisti che non possiedono alcun retroterra, che non conoscono la storia dell’arte e si dicono pittori o scultori, che non conoscono la musica e si proclamano musicisti, che non hanno letto nulla e maneggiano approssimativamente gli strumenti della comunicazione linguistica e si presumono scrittori, che non hanno studiato il grande cinema che li ha preceduti e, modernamente, si proclamano videomaker supponendosi registi e sceneggiatori. È lecito e bello che i giovani si sentano tanto ricchi di una “vera vita interiore” da poter essere portatori e addirittura creatori di bellezza e arte, ma forse sarebbe opportuno facessero proprio il grande segreto di ogni vero artista: sapersi perennemente abitati dal mutevole equilibrio tra la convinzione di essere capaci di grandi opere e la modestia di dubitare perennemente delle proprie verità estetiche e, forse soprattutto, etiche. Ricordo un’intensa affermazione di Papa Paolo VI: “Dite ai giovani che il mondo esisteva già prima di loro, ricordate ai vecchi che il mondo esisterà anche dopo di loro”; a parte le attuali fondate preoccupazioni sulla possibilità che il nostro pianeta riesca a sopravvivere al disastro dell’ottuso comportamento umano, all’anteporre il mercato all’essere umano, e qui mi fermo, l’esortazione alla modestia, alla capacità di osservare da diversi punti di vista, insomma, la consapevolezza che non esiste una verità senza lo sguardo capace e modesto di chi la osserva, specie se espressa da un Papa, mi sembra un buon punto di partenza per la nostra riflessione alla quale mi limito ad aggiungere le parole di Henry David Thoreau: “Ogni generazione ride delle vecchie mode, ma segue religiosamente quelle nuove”.

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