“Quando parli puoi ascoltare solo cose che già conosci e lo stesso accade se ti confronti con chi condivide la tua prospettiva, il vero progresso per il tuo pensiero lo puoi incontrare solo ascoltando e misurandoti con il dissenso. Se ha senso suggerire ciò che può apparire un paradosso: parla con chi ti dà torto”. Da troppo tempo non trascorrevo serate enoculturali con l’amico Gershom Freeman così mi sono risolto a raggiungerlo nel suo eremo affacciato sul golfo di Squillace e ho riportato con me il sapore e il profumo della sua intelligenza che ho provato a condensare nella breve citazione di apertura che è rimasta impigliata nella mia memoria di quei due brevi giorni così intensi. In realtà molto spesso i nostri percorsi condividono lunghi tratti comuni ma entrambi apprezziamo l’incontro con il dissenso secondo l’insegnamento di Luigi Einaudi che affermava: “ Non le lotte o le discussioni devono impaurire, ma la concordia ignava e l’unanimità dei consensi”. Credo che l’appiattimento culturale progressivo al quale assistiamo sia la più triste premessa alla più malinconica omologazione planetaria che però, e questo mi sembra l’aspetto ancor più deprimente, si occulta dietro a una presunta libertà di informazione e di dissenso celebrata dall’invasione capillare del “laqualunque” che impera nei social. Tanto per non generare ambiguità scontate, non sto demonizzando internet, non propongo nessun anacronistico neo luddismo, al contrario, sostengo le più moderne tecnologie e apprezzo l’abilità di chi sa utilizzarle, ciò che intendo stigmatizzare è che il veleno non è nel mezzo quanto nell’impiegarlo agiograficamente, quasi fosse un moderno vangelo per superficiali tuttologi. È un po’ come se mi dichiarassi particolarmente critico circa l’impiego di una veloce automobile da parte chi non sia patentato ed esperto, potrei essere accusato di essere un nemico della velocità e della più moderna tecnologia automobilistica?
Tornando alla bellezza del dissenso è doveroso chiedersi: si tratta di dissenso il conflitto tra due incompetenti convertitesi estremisticamente a qualche “verità” raccolta in rete? Il feroce dibattito tra due non vedenti intorno al colore di un caleidoscopio che l’uno celebra rosso e l’altro nero è prodromo alla libertà di opinione o vaniloquio? Se è vero quanto scrive Pino Caruso che “Solo la libertà del dissenso rende credibile il consenso”, è anche vero che il consenso a favore dell’una o dell’altra tesi dei due contendenti, anche se garanzia di libertà di opinione, rende il con-senso privo di senso. Il tema della “libertà del dissenso” è tanto fondamentale quanto ambiguo, credo infatti che la libertà vera non consista tanto nel diritto di non essere d’accordo quanto nella reale possibilità di formarsi un’opinione autonoma e argomentata, questione che riguarda le fonti di informazione e gli strumenti in possesso per utilizzare le informazioni stesse. Mi piace ricordare l’affermazione di Horacio Verbitsky: “Giornalismo è diffondere qualcosa che qualcuno non vuole che si sappia, il resto è propaganda” anche se mi rendo conto che, al di là della sua denuncia delle opache frequentazioni di Papa Bergoglio, anche la sua definizione di giornalismo, che sembra un inno al coraggio e all’onestà deontologica, potrebbe banalmente essere utilizzata al fine di equiparare l’alto giornalismo al più bieco gossip; tutto dipende dalla precisazione circa il “qualcosa” e il “qualcuno”, ma il tema della qualità del moderno giornalismo ci allontanerebbe dal nostro argomentare, lasciamolo a margine e torniamo al concetto di opinione e dissenso sposando il pensiero di Zygmunt Bauman: “Penso che la cosa più eccitante, creativa e fiduciosa nell’azione umana sia precisamente il disaccordo, lo scontro tra diverse opinioni, tra diverse visioni del giusto, dell’ingiusto, e così via. Nell’idea dell’armonia e del consenso universale, c’è un odore davvero spiacevole di tendenze totalitarie, rendere tutti uniformi, rendere tutti uguali”.