“Il dialogo nasce da un atteggiamento di rispetto verso un’altra persona, dalla convinzione che l’altro abbia qualcosa di buono da dire; presuppone fare spazio, nel nostro cuore, al suo punto di vista, alla sua opinione e alle sue proposte. Dialogare significa un’accoglienza cordiale e non una condanna preventiva.” afferma Papa Francesco e, mi sembra, le sue parole siano un meraviglioso messaggio che andrebbe accolto sia da ogni singola persona nel proprio privato che dai “potenti del mondo e della storia” per dirimere le controversie internazionali e mai, come in questi giorni, una simile esortazione sarebbe d’aiuto per affrontare con qualche speranza il cammino verso la pace. Il tema del rispetto è analizzabile, come ogni grande argomento trasversale, a diversi livelli, forse il più accessibile lo possiamo incontrare grazie alla campagna UEFA battezzata, sembra un must, consentitemi l’ironia, con il termine inglese Respect. “L’inclusività e l’apertura sono le chiavi che sbloccano il vero potenziale del nostro gioco. Aprendo le braccia a tutti, indipendentemente dal background, dal sesso o dalle capacità, il calcio crea un campo di gioco equo in cui tutti si sentono benvenuti, rispettati e valorizzati” afferma Aleksander Čeferin, Presidente della UEFA, ma gli atleti che si danno la mano prima dell’incontro e che vanno a cena assieme a giocatori della squadra avversaria dopo lo stesso, nel corso dell’incontro si buttano in area di rigore anche se non colpiti, si accasciano a terra urlanti se appena sfiorati, perdono tempo se la loro squadra è in vantaggio e si lamentano quando lo fa la squadra avversaria, chiedono la punizione per chi ha compiuto su di loro un fallo e, magari poco dopo, negano platealmente di averlo commesso anche davanti all’evidenza e poi vanno in tv a parlare di sportività dopo aver giurato fosse non valido un gol avversario sostenendo che il pallone non aveva superato la linea di porta anche se profondamente consapevoli del contrario. Come se non bastasse ci sono i giornalisti, che non possono essere giustificati poiché “ragazzi di vent’anni troppo famosi e troppo ricchi”, intellettuali che commentano il calcio affermando che “con esperienza” il calciatore ha commesso un “fallo di gioco” o non sufficientemente grave da essere sanzionato ma tale da impedire l’azione dell’avversario, magari poi commentando in maniera del tutto diversa un’azione simile a maglie invertite, sarebbe questo il rispetto? Facile riempirsi la bocca di slogan inclusivi poiché oggi va di moda l’ostentazione dell’onestà formale sui grandi temi e viene meno quella sostanziale sui gesti meno spettacolari ma non meno importanti. Questa gente manca di rispetto a se stessa, all’intelligenza degli sportivi veri e all’idea di “rispetto degna di rispetto”.
Vi sarà capitato di conversare a tavola con amici, non c’è chi dà la parola e nemmeno un tempo durante il quale non si deve interrompere chi sta parlando, la conversazione fluisce naturale poiché il rispetto reciproco determina tempi e modi, l’interesse per le idee dell’altro inducono all’intervento che non è visto come affronto ma come stimolo e sviluppo, ebbene, anche all’interno di un’atmosfera simile, c’è sempre qualche commensale che, se qualcuno interviene sul suo discorso, si volta verso un altro e prosegue come se chi stava tentando di intervenire nemmeno fosse presente e tutto questo, addirittura, mentre stava celebrando la propria etica del rispetto. Rammento un’affermazione di Henry David Thoreau, il filosofo della Disobbedienza civile, pacifista e ambientalista ante litteram: “Il complimento più grande che mi è mai stato fatto fu quando uno mi chiese cosa ne pensassi, e attese la mia risposta”. Sembra paradossale eppure è estremamente frequente che qualcuno rivolga una domanda e non si dia tempo per ascoltarne davvero la risposta, Thoreau parla di complimento poiché chi “attende la tua risposta” dimostra per te rispetto mentre se non lo fa dimostra solo di essere un povero ego riferito in cerca di attenzione e afflitto da incancreniti pregiudizi. “Che senso ha rispettare chi non rispetta noi? Che senso ha difendere la loro cultura o presunta cultura quando essi disprezzano la nostra?” Scrive Oriana Fallaci; certo lei si riferiva a una questione di natura più ampiamente sociale, ma la sua prospettiva potrebbe puntualmente essere chiave interpretativa in relazione alla situazione conviviale appena descritta.