“Tra il clamore della folla ce ne stiamo io e te, felici di essere insieme, parlando senza dire nemmeno una parola”, così scrive Walt Whitman raccontando, in brevi istanti, un intenso momento d’amore che si rivela quando l’intesa è assoluta e non ha bisogno di parole, regala felicità e profonda intimità anche nel bel mezzo di una folla distratta e vociante. Oggi, ricorrendo a un termine caro alla psicologia, potremmo parlare di empatia; in realtà il termine nasce con una valenza diversa, indicava quello che potremmo individuare come l’antropomorfizzazione di oggetti, sarà lo psicologo strutturalista Edward Titchener ad allargarne il senso al rapporto tra umani fino a fargli assumere il significato attuale che potremmo riassumere nella disponibilità e capacità di determinare una sorta di positiva sintonia emotiva nei confronti dell’altro. Credo che un elemento cruciale dell’empatia sia riconoscibile nella definizione offerta dallo psicoterapeuta statunitense Carl Rogers: “L’empatia vera è sempre libera da ogni qualità diagnostica o giudicante”. Sono convinto, infatti, che non possa esistere vera empatia se non si pongono i protagonisti della relazione su un piano equivaloriale che nemmeno possa concepire atteggiamenti valutativi. Una simile prospettiva, a mio avviso, è imprescindibile in un sano rapporto amicale e, forse in maniera ancor più assoluta, d’amore. Senza rinunciare a se stesso, ai propri principi, alla propria storia, anzi, proprio comprendendone più profondamente la natura, sarà possibile porsi in maniera del tutto scevra da pregiudizi etici e da posture giudicanti, nei confronti dell’altro. Non hai bisogno di valutare chi ami, lo condividi senza perdere te stesso ma scoprendo di essere in grado di osservare il mondo con i suoi occhi, senza doverlo fare con un atto di volontà, ti nasce naturale la complicità profonda che suggerisce al tuo mondo interiore i colori, i profumi, le emozioni, terribili e meravigliose che importa, che abitano l’universo interiore dell’altro.