Domani si compiono i riti della Pasqua, da quello sacro che scioglie i legacci che imbracano le campane a quello più profano con cui si sciolgono i nastri che racchiudono l’uovo. Questa cerimonia non è grata solo ai bambini che scalpitano nell’attesa di romperlo. Anche a molti adulti piace questa pratica: non solo perché la cioccolata è bugiardo mentitore chiunque asserisca di non esserne ghiotto ma anche e forse soprattutto chi riceve in dono un uovo per prima cosa, sia grande o piccino, pensa a quello che nasconde. Fabergé, gioielliere di fiducia dello zar, su questa aspettativa costruì la sua fortuna ma non sono pochi quelli che dal pasticciere di fiducia fanno inserire nell’uovo un pegno segno dell’amore che portano alla persona cui offrono quel regalo. Solo dopo aver scoperto la sorpresa, manifestando platealmente la gioia o dissimulando abilmente la delusione, ci si getta sui vari colori della cioccolata che, marrone o bianca o nera, a nessuno sta indigesta.
Perché il cioccolato è buono, così buono che nella religione Maya c’era una divinità apposta per tutelare la pianta del cacao dai cui semi si produce il cioccolato. Quando i conquistadores invasero il Messico, trasferendolo dalla parlata indigena nello spagnolo, chiamarono il dio del cacao Quetzalcoatl, un nome così ostico alla nostra lingua che è preferibile indicarlo con la sua traduzione: serpente piumato. Però, le lettere qu in spagnolo diversamente dall’italiano si pronunciano k e la x vale per il suono sc: per questo dovremmo pronunziare Ketscialcoatl, parola che assomiglia molto a cioccolato. I sacerdoti Maya lo offrivano alle loro divinità ché quello per loro era il cibo degli dei e in quel modo lo chiamavano. La lezione fu tanto bene appresa da Linneo che classificò il cacao padre del cioccolato chiamandolo theobroma che in greco ha quel significato.