Sembrava un’assurdità che ci fossero due stabilimenti della Marina a pochi chilometri di distanza: l’Arsenale e San Bartolomeo, oggi Centro Supporto e Sperimentazione Navale.
Specie nel 1921 ci recrimina sopra Il Tirreno, quotidiano dell’Ansaldo del Muggiano che era ingolosito da quello spazio così vicino. Le mire della società genovese sull’impianto della Marina si acuiscono all’inizio degli anni Venti del Novecento. Lo si vede in un articolo del quotidiano del ’21 che fa la storia di San Bartolomeo. Questo, secondo il giornale, era stato previsto da Cavour come opificio privato per la cantieristica mercantile ed eventualmente anche per la militare, un po’ come faceva l’impianto di Tolone per la Marina francese. Tuttavia, la morte prematura dello statista cambia le carte in tavola e lo stabilimento resta militare.
Comunque, dopo non molto una società privata manifesta l’intenzione di affittare lo stabilimento. La cosa promette bene perché all’inizio del Novecento l’Ammiraglio Giovan Battista Magnaghi (è un ingegnere idrografo apprezzato nel mondo, deputato, già Comandante della piazza militare spezzina) appoggia il progetto e sopprime il trenino che portava gli operai nel cantiere per mostrare la serietà delle sue intenzioni. Fra l’altro, la dismissione del San Bartolomeo rispondeva ad un’antica regola che sconsigliava gli insediamenti industriali nei pressi delle piazzeforti marittime per motivi di sicurezza. Magnaghi ha già pronto il testo, necessario, di una legge che autorizzi la cessione di un ente statale ad un privato. Sembra tutto fatto, ma appena prima che l’Ammiraglio presenti la sua proposta alla Camera, nel giugno 1902 muore per un improvviso colpo apoplettico e tutto torna in alto mare. Ritorna il trenino che collega la città a San Bartolomeo della cui privatizzazione non si parla più.