“Aje voglia ‘e mettere rumma: ‘nu strunzu nun addiventa maje babbà”; si tratta di un antico detto napoletano che si può tradurre con “Inutile aggiungere rum, uno stronzo non diventa comunque un babà”. Pare che l’espressione sia databile ai tempi della Repubblica partenopea quando il babà era stato importato in città dalla moglie di Ferdinando di Borbone, noto con diversi numeri romani a seguito del nome a secondo del regno relativo, che si chiamava Maria Carolina ed era sorella della più famosa e meno longeva Maria Antonietta di Francia; all’epoca il detto aveva relazione con le condizioni igieniche della città che certo avevano poco di regale e molto di cattivo odore, nel tempo, però assunse una connotazione popolare diversa: se sei una brutta persona c’è poco da fare, con tutta la buona volontà di migliorare con aiuti esterni, la tua natura più profonda rimarrà la medesima. È riflettendo su questo convincimento popolare che mi interrogavo sulla possibilità che uno stupido possa divenire altro e se, nel suo inevitabile permanere nella condizione di stupidità, il suo comportamento possa essergli imputato come responsabilità. Il passaggio successivo della riflessione può essere riassunto nell’interrogativo: uno stupido può essere cattivo? La domanda in qualche modo può essere rovesciata in un quesito che in napoletano suonerebbe “’nu strunzu può addiventà babbà”? Certo i termini non coincidono perfettamente, nell’espressione napoletana è chiaro il senso, se uno è cattivo può diventare buono? Ma quello che mi interessa analizzare è se una persona stupida che fa del male a qualcuno può essere considerata responsabile della sofferenza di quest’ultimo mentre do per acclarato che uno cattivo deliberatamente non possa divenire mai babà nemmeno se inondato di ottimo liquore. Se dobbiamo dare ascolto alla sentenza di Einstein “Solo due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana, riguardo l’universo ho ancora dei dubbi”, il problema diviene tragico, ma proviamo ad avvicinarlo con ottimismo e col sorriso.
Chi meglio del geniale Woody Allen può dare il via a una riflessione che vorrebbe essere “ottimista e col sorriso” ma anche puntuta e caustica? Ebbene, al riguardo affermava che “il vantaggio di essere intelligente è che si può sempre fare l’imbecille, mentre il contrario è del tutto impossibile” e questo ci porta immediatamente in medias res: per definizione lo stupido non sa di esserlo, e questo è già un problema che potrebbe riportarci alla tesi einsteniana, ma soprattutto non ha potuto scegliere di non esserlo, ebbene, se il suo comportamento causa sofferenza può mai essere in grado di comprendere ed emendarsi? Essere stupido spesso significa fare del male a qualcuno senza averne un utile personale, insomma, genero dolore senza nemmeno contro bilancialo con un piacere, certo squallido e egoista, ma almeno espressione di una volontà cattiva ma consapevole. Il padre del pensiero morale antico, mi riferisco a Socrate, sosteneva che il fare del male è conseguenza dell’ignoranza, ma è evidente che l’ignoranza può essere emendata, corretta, sconfitta, la stupidità è parte costitutiva della natura e uno stupido non diventerà mai “un babà”. Illuminante la riflessione di Martin Luther King “Nulla al mondo è più pericoloso che un’ignoranza sincera e una stupidità coscienziosa”, oggi poi che l’ignoranza viene esibita quasi fosse un titolo di merito, il pericolo cresce ma ci interessa maggiormente l’idea di una stupidità coscienziosa, va sottolineata la sostanziale differenza tra cosciente e coscienzioso. Il senso del termine utilizzato da Martin Luther King indica l’attenzione sistematica dello stupido a celebrare la coerenza perniciosa del proprio agire senza averne alcuna contezza. Lo stupido non ha dubbi, è solitamente convinto di essere nel giusto e si sente offeso da chi non è in grado di comprenderlo senza avere mai l’esigenza né la capacità di cogliere anche solo la possibilità di un differente punto di vista; ipotizzare un’alternativa sarebbe per lui devastante, meglio la facile sicumera che lo rasserena nell’inconsapevolezza ottusa.