La settimana scorsa ricordavo Agostino Bronzi che fu esponente di grande spicco del socialismo locale e senatore della Repubblica. Di sé lui amava ricordare che era un oriundo borghese per dire con un’espressione del calcio anni Cinquanta che proveniva da un ambiente socialmente molto diverso da quello dei suoi sostenitori.
Datava l’inizio della sua attenzione verso le classi disagiate a quando andando giovanetto con il padre, incontrò un contadino che aveva un pacchetto con della carne. Il genitore gli spiegò che in quella famiglia doveva esserci un malato, la carne non essendo quello un alimento abituale sulla mensa dei braccianti. Agostino fece il paragone con la sua tavola e scelse di battere un’altra strada svoltando a sinistra.
Ma sbaglieremmo se pensassimo che al tempo da quelle parti l’armonia regnasse sovrana.
Al contrario, la concorrenza fra le diverse organizzazioni che si battevano per l’emancipazione del mondo del lavoro, era tanta e molto spietata.
Neppure Bronzi si tira indietro e non indietreggia in nessuna battaglia.
Furono memorabili gli scontri che il giovane Agostino, assurto alla guida dei socialisti spezzini, sosteneva con Pasquale Binazzi, leader degli anarchici locali e direttore de Il Libertario, un settimanale che era apprezzato anche in campo nazionale. La diatriba fra la Libera Parola, l’organo di stampa del Psi spezzino, e la testata anarchica era continua, ognuno dei due giornali essendo impegnato a difendere le proprie idee e la condotta politica conseguente. Riconoscere qualche volta la bontà delle idee altrui e tentare una convergenza era peggio che bestemmiare in chiesa. Discrimine fondamentale per le due parti era la questione del voto: favorevoli a deporre la scheda nell’urna gli mentre gli altri invitavano a disertare i seggi.